Sintomi cognitivi dell’ansia
Quante volte non ci siamo criticati per qualcosa con frasi del tipo: Devo essere …., devo fare …, in quante circostanze non abbiamo rimproverato qualcuno con frasi: come sarebbe.., dovrebbe essere … si dovrebbe fare …?.
A volte questi obblighi possono essere scambiati per un tentativo di fallimento: scopriamo che non siamo abbastanza precisi ed efficienti in qualcosa e ci concentriamo su questa espressione per motivarci, per costringerci a correggere questo “errore”.
Il problema non è la motivazione: si tratta di una auto-lotta, che ci infliggiamo per un errore di ipotetico.
Qualcosa di simile può accadere quando attribuiamo siffatti obblighi presunti agli altri.
Di solito questi obblighi che si accostano ad un altro, si basano su precisi momenti in cui abbiamo contatto con esso; ad esempio un commesso in un negozio ci fa perdere troppo tempo; la nostra risposta è quella di attribuirgli un obbligo, aiutandolo prontamente e diligentemente, senza considerare che ci potrebbero essere motivi validi per giustificare il suo comportamento: può essere il migliore assistente al mondo che semplicemente sta avendo una brutta giornata.
Sia che attribuiamo questi obblighi all’altro, sia che gli attribuiamo a noi stessi, la violazione ci provoca frustrazione; essa si verifica a causa di un cambiamento nel modo di ragionare, a sintomi cognitivi, che non devono essere confusi con l’essere esigenti con se stessi o con gli altri, ma che comportano una revisione del nostro approccio ad adeguarci agli obblighi assunti nella realtà.
Dare la colpa a se stessi può solo portare a frustrazione quando non si ottiene ciò che si vuole.
Non possiamo sottovalutare il potere del segno distintivo, quando qualcosa è etichettato automaticamente diventa libero di appartenere ad una classe che è molto difficile da lasciare.
Ansia: sintomi
Alcuni soggetti sostengono che il potere dell’etichetta è tale che se prendiamo due cose identiche, ad esempio due bottiglie a fondo pulito, piene d’acqua, una etichettata con la parola “buona” e una con la parola ” cattiva “e teniamole in un armadio; dopo un mese, controlliamo lo stato di queste bottiglie per vedere se la bottiglia d’acqua con l’etichetta “buona” è rimasta chiara mentre quella con l’etichetta “cattiva” è danneggiata. (Nota: Abbiamo fatto il test e, nel nostro caso, il risultato non era previsto).
Indipendentemente da queste opinioni, la maggior parte si è accorto di come come l’etichetta indichi la persona; ad esempio,una persona etichettata come pesante, con la quale nessuno parla, ci è sembrata normale,parlandoci, e non abbiamo capito il motivo di tale etichetta, anche se ciò ha fatto credere a tutti che quella era una persona difficile.
Quando noi ordiniamo ed etichettiamo qualcosa, raramente rivediamo questa classificazione.
Se classifichiamo qualcuno come pesante, lo evitiamo e non ci diamo la possibilità di rivedere questa opinione; se ci etichettano, per noi sarà lo stesso.
L’errore che facciamo è quello di vedere le persone come piramidi, come se fossero sempre le stesse senza possibilità di evolversi, senza tener presente che le persone sono come fiumi, in grado di evolversi e di adattarsi.
Ponendo delle etichette spesso si cade nella trappola della mancanza di precisione nelle parole,mettere le etichette impedisce di evolversi e, quindi, dobbiamo cercare di evitarle.
Incriminazione
Questo sintomo cognitivo si verifica quando ci attribuiamo la colpa delle cose che sfuggono al nostro controllo:
• Mio figlio è stato sospeso, io sono un cattivo genitore
• Il mio livello di passaggio è basso, io sono un cattivo maestro.
• Ho notato che la macchina non va bene, io sono un cattivo meccanico.
Ansia: sintomi di auto-incriminazione
In tutti questi casi noi ci addossiamo la colpa per qualcosa che è oltre il nostro controllo totale. Quando ho visto che la macchina che si è di nuovo rotta, non ho pensato che potava essere dovuto a cose oltre le mie possibilità; se i miei studenti non sono passati, una parte del lavoro che devo fare è quella di incoraggiarli, sostenerli; posso insegnargli a studiare come dovrebbero, a controllare il loro ambiente personale: questo paralizza l’autoincriminazione; noi non siamo responsabili di questo risultato, e non dobbiamo né possiamo controllare ogni aspetto, perché, ci sono cose che sfuggono al nostro controllo.
Dieci anomalie di pensiero, dieci sintomi di ansia, dieci modelli nel pensiero cognitivo, porteranno solo ad una maggiore ansia e quindi ai sintomi manifestati.
Ecco una lista che li riassume:
• Pensiero dicotomico: vediamo il mondo bianco o nero, senza sfumature di grigio; quando qualcosa non è perfetto è un fallimento totale.
• Generalizzazione (eccessiva): si considera un “punto di fallimento” una media generale.
• Astrazione selettiva: la nostra attenzione è rivolta ad un risultato negativo, ignorando il resto.
• Eliminare le cose positive: importanza, negligenza, fatti positivi, sfide che contraddicono qualcosa di rimanere con il negativo.
• Divinazione: indovinare il pensiero o leggere il futuro
• Sproporzione: trucco prismatico: ingrandire il negativo e ridurre al minimo il positivo.
• Emozione e Realtà: ragionare con le emozioni, mi sento male, allora qualcosa non va.
• Obblighi presunti: autoimposizione o imposizione di obblighi irrealistici agli altri.
• Tags: noi o altri etichettati all’interno di categorie.
• Autoincriminazione: attribuirci la responsabilità delle cose che sfuggono al nostro controllo.
Torneremo su questa classificazione ogni volta che abbiamo bisogno di identificare le alterazioni del pensiero.
Questo elenco di segnali di ansia, è un ragguaglio delle alterazioni di pensiero (sintomi cognitivi) che ci rendono esposti all’ansia, di conseguenza, sono alterazioni che dovremmo cercare di correggere se vogliamo curare l’ansia.
Articolo a cura del Dott. Pierpaolo Casto – Psicologo e Psicoterapeuta – Specialista in Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale
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